La mia forma

Mi dai meno di quanto daresti a tuo padre, se ti fossi padre: ma io non ti sono padre.
Mi dai meno di quanto daresti a tuo figlio, se ti fossi figlio: ma io non sono tuo figlio.
Mi dai meno di quanto daresti a un amico, se ti fossi amico: ma noi non siamo amici.
Mi dai ancor meno di quanto daresti a un cane, se tu l’avessi. Eppure potrei esserti cane. Vedi? Scodinzolo.
Che ti sono, dunque? Uno schiavo, non se ne può dubitare. Un ubriaco, uno stolto in sala d’attesa nel purgatorio, notte appresso a notte e tutti i giorni, uno appresso all’altro; un coniglietto domestico, uno di quelli con la coda a batuffolo che, a bocca aperta, aspettano i croccantini. Un alito di fondo, un nientùcolo, una forma senza forma.
Ma sai che c’è di bello? Di bello c’è che presto o tardi cadrà in terra la tua veste; e poiché sei tu ordinatissima madonna, non potrai fare a meno di chinarti a raccoglierla. A quel punto io, il niente conigliesco – quello scodinzolante, quello senza forma, ricordi? – sì, proprio io, io ti sarò dietro. Sarò pronto, il gioco sarà fatto e mentre tu discenderai all’inferno che tra le mie mani si aprirà per i tuoi fianchi nudi, in un istante svaniranno il padre, il figlio, l’amico e il cane così come il coniglio e tutto il resto e io, finalmente, dentro di te ritroverò la mia forma.

“Uno schiavo, non se ne può dubitare”